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Forfettari 2020: cambia tutto

Legge di bilancio 2020: regime dei costi analitico e non più forfettario, conto corrente dedicato alla professione, reintroduzione dei limiti per il personale e per i beni

 

 

Non trovano pace coloro che hanno aderito al regime forfettario. Dopo le numerose e sostanziali modifiche che la Legge di bilancio 2019 aveva previsto per questo regime, la manovra finanziaria 2020 rimette pesantemente mano al regime dei contribuenti minori. Stando alle bozze della manovra in circolazione, le misure allo studio del Governo sono le seguenti:

  1. introduzione del regime analitico per la determinazione del reddito in base ai costi e ai ricavi effettivi. Questa modifica è piuttosto pesante perché comporta che i contribuenti forfettari, che finora non erano tenuti a conservare i documenti delle spese in quanto i costi venivano loro imputati sulla base di una percentuale prestabilita in maniera forfettaria in base all'attività svolta, appunto, debbano invece tenere un minimo di contabilità conservando tutti i documenti inerenti al sostenimento dei costi quanto meno per la determinazione del reddito. Per ora rimangono almeno esonerati dall'obbligo di conservazione della fatture e di tenuta dei registri contabili.
  2. obbligo del conto corrente dedicato alla professione: introdotto l'obbligo di aprire un conto corrente dedicato all'attività professionale e imprenditoriale in regime forfettario dove far transitare incassi/costi dell'attività;
  3. reintroduzione del limite di 30.000 euro da lavoro dipendente come causa ostativa al regime forfettario,
  4. reintroduzione del limite di 20.000 euro per l'acquisto di beni strumentali
  5. reintroduzione del limite di 5.000 euro di compensi massimi corrisposti a dipendenti e collaboratori.

Questo il quadro del cambio di rotta sul regime forfettario, ma come sempre, tra annunci e smentite, conviene aspettare di vedere i testi definitivi delle norme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 16/10/2019

Fonte: Fisco e Tasse

 

Riscatto previdenza integrativa agevolato anche per la PA

Sentenza Corte costituzionale 218 2019 sull'incostituzionalità del diverso trattamento tributario tra dipendenti pubblici e privati sul riscatto di fondi di previdenza complementare

 

 

Nei casi di riscatto di quanto versato al fondo di previdenza complementare l' agevolazione fiscale  prevista per i privati deve essere estesa anche ai dipendenti pubblici
E' quanto ha stabilito la Corte Costituzionale la Sentenza n. 218 del 3 ottobre 2019  che affermato l’incostituzionalità  del diverso  trattamento tributario  che si è creato tra dipendenti pubblici e privati,  riguardo la possibilità di riscattare una posizione individuale maturata tra il 2007 e il 2017,  presso una forma di previdenza complementare.

 La questione legittimità costituzionale era stata posta dalla Commissione tributaria provinciale di  Vicenza  riguardo l’art. 23, comma 6, del decreto legislativo 5
dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), in relazione all’art. 52, comma 1, lettera d-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Il giudice  aveva osservato che  la riforma introdotta dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 avente tra l’altro ad oggetto l’adozione di norme intese a «sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari» (art. 1, comma 1), non avrebbe trovato immediata applicazione nei confronti del pubblico impiego. Infatti, non era stato emanato l’apposito decreto di armonizzazione necessario.

Nella difesa instaurata a nome della Presidenza del Consiglio dall'Avvocatura  dello Stato si affermava che:  la stabilità del rapporto pubblico e la circostanza che i dipendenti pubblici percepissero e continuino a percepire trattamenti pensionistici obbligatori di importo pari «circa al doppio di quelli percepiti dai dipendenti privati», costituirebbero «ragioni sufficienti a giustificare una  disciplina differenziata del trattamento fiscale delle prestazioni erogate dalle forme di previdenza complementare».
Un ulteriore profilo di infondatezza sarebbe il fatto  che la  previdenza integrativa sarebbe stata costituita prendendo a modello il settore dipendente privato e  attribuendo un ruolo fondamentale al trattamento di fine rapporto.  Inoltre  la «diversa disciplina ed entità del TFS e la differente modalità di accantonamento del TFR» costituirebbero, ad avviso dell’Avvocatura, ulteriori ragioni che varrebbero «a rendere non irragionevole la scelta del legislatore di differenziare il trattamento fiscale delle prestazioni di previdenza complementare erogate dai fondi pensione ai lavoratori pubblici e privati».

Secondo la Corte invece i rilievi dell'Avvocatura non sono fondati  in quanto , nel caso in esame, "è palese che la ratio del beneficio riconosciuto a favore dei
dipendenti privati
 – quella di favorire lo sviluppo della previdenza complementare, dando attuazione al sistema dell’art. 38, secondo comma, Cost. – è identicamente ravvisabile anche nei confronti di quelli  pubblici".

Va ricordato che  già l’art. 1, comma 156, della legge 27 dicembre 2017, n. 205  ha previsto il superamento della disparita di trattamento affermando che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2018, ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applicano le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e  contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252

 

 

 

 

 

1 FILE ALLEGATO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 08/10/2019

Fonte: Corte Costituzionale

 

Prestito dei soci: ritenuta anche su interessi non erogati

La società che riceve somme di denaro a titolo di mutuo dai soci, ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi dovuti anche se la corresponsione è presunta. A dirlo la Cassazione

 

Con tre ordinanze collegate tra di loro, la Corte di Cassazione è tornata sul tema delle ritenute d'acconto nel caso di finanziamenti dei soci alla società. Nel caso oggetto di disputa, l’agenzia delle Entrate aveva emesso avviso di accertamento dopo aver riscontrato un finanziamento fruttifero di 475.000 euro alla società da parte del socio accomandatario e legale rappresentante, titolare dell’82% del capitale sociale. Il finanziamento era stato effettuato in contanti e con un tasso del 10%. Il contribuente ricorreva alla CTP avverso l’avviso di accertamento, ma la CTR rigettava l’appello ritenendo le movimentazioni sul conto corrente come reddito imponibile indipendentemente dall’attività esercitata dal contribuente stesso e che sugli interessi andasse effettuata la ritenuta.

La Cassazione riconosceva giusto il giudizio di secondo grado e riprendendo la Cassazione civile sez. trib. 16/2/2018  n. 3819 ha precisato che in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, la società di capitali, che riceve somme di denaro a titolo di mutuo dai propri soci, ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi dovuti, non solo nel caso in cui la corresponsione degli stessi sia effettivamente avvenuta, ma anche quando essa sia soltanto presunta dalla Legge, atteso il carattere normalmente oneroso del mutuo ex art. 1815 del codice civile. Sarà pertanto onere del contribuente dimostrare la mancata percezione di interessi attivi sulle somme concesse.

Le ordinanze in commento n. 20625, 20626 e 20627 sono allegate a questo articolo.

 

 

 

 

3 FILES ALLEGATI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 27/09/2019

Fonte: Fisco e Tasse