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Comunicati stampa

La responsabilità del professionista che aiuta ad evadere le imposte

Commercialista sospeso dalla professione se suggerisce all'imprenditore scappatoie evasive: Corte Cassazione sentenza n. 50065 del 06/11/2018

 

 

Tra le misure cautelari interdittive previste nel nostro ordinamento è presente anche il “Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali”. Tale divieto, che viene appunto applicato provvisoriamente a scopo cautelare, è stato recentemente comminato ad un commercialista reo di aver ideato complesse operazioni commerciali illecite poste in essere da un imprenditore.

 

Divieto temporaneo di esercitare attività professionali o imprenditoriali

 

Come previsto dall’art. 287 c.p.p., le misure interdittive possono essere applicate solo quando si procede per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.

Tra le misure cautelari di questo tipo, il nostro ordinamento prevede:
• “Sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori” (art. 288 c.p.p.),
• “Sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio” (art. 289 c.p.p.),
• “Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali” (art. 290 c.p.p.).

Il citato art. 290 c.p.p.. cita espressamente:

“1. Con il provvedimento che dispone il divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, il giudice interdice temporaneamente all'imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti.

2. Qualora si proceda per un delitto contro l'incolumità pubblica o contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio ovvero per alcuno dei delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società e di consorzi o dagli articoli 353, 355, 373, 380 e 381 del codice penale, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 287 comma 1”.

L’applicazione di una misura cautelare interdittiva, come il divieto previsto dall’art. 290 c.p.p., risponde all’esigenza di evitare l’inquinamento probatorio e la reiterazione del reato. Non risponde invece, come è facile intuire, alla necessità di evitare il pericolo di fuga, atteso che in questo caso verrebbe applicata una misura coercitiva, come gli arresti domiciliari o la custodia in carcere.

 

Misura sospensiva comminata al commercialista

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50065 del 06 novembre 2018, ha recentemente affrontato il caso di un commercialista a cui è stata comminata la menzionata misura cautelare del “Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali”, quindi in sostanza una sospensione dall'attività professionale per un periodo limitato, nello specifico per la durata massima prevista per questa misura pari a 12 mesi.

Il ricorso presentato dal professionista dinanzi al supremo consesso vedeva appunto quest’ultimo chiedere la disapplicazione della misura del divieto ad esercitare l’attività professionale applicata dal Tribunale del riesame di Bologna.

I giudici avevano accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero del Tribunale di Forlì, secondo il quale il commercialista aveva proattivamente partecipato a reati posti in essere da un imprenditore, con il quale il professionista era in stretti rapporti.
I reati ascritti al commercialista in concorso erano “intestazione fittizia” e “autoriciclaggio”.

Nonostante le tesi difensive, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che la misura cautelare del divieto temporaneo ad esercitare l’attività professionale fosse stata correttamente comminata, ciò in quanto dagli atti risultava inequivocabile il ruolo del commercialista in questione di “suggeritore” degli schemi evasivi perpetrati dall'imprenditore.

Inoltre la Suprema Corte ha specificato che la misura cautelare adottata va rapportata alla professione svolta dal ricorrente e alla natura dei reati contestati, che sono stati ideati ed attuati dal commercialista proprio in virtù della sua preparazione professionale.

Quindi, ha proseguito la Corte, non nel caso di specie non si è trattato dell’opera di un “quisque de populo”, bensì dell’opera di un professionista che, attingendo al proprio bagaglio professionale, aveva consigliato all’imprenditore i sotterfugi per sottrarsi agli obblighi di legge.

In conclusione la Suprema Corte ha riconosciuto corretto il percorso logico-argomentativo del Tribunale del riesame di Bologna e quindi l’applicazione della misura cautelare di cui all’art. 290 c.p.p., condannando inoltre il commercialista anche al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende di un importo di € 2.000.

 

 

 

 

 

 

Fonte: Fisco e Tasse

Omaggi e fatturazione elettronica 2019: ecco come fare

Fatturazione elettronica 2019: possibile per le cessioni gratuite a titolo di omaggi fare autofattura per omaggi.

 

 

Cosa bisogna fare con la fatturazione degli omaggi da quando nel 2019 è stato introdotto l'obbligo generalizzato di emissione della fattura elettronica? In attesa che Agenzia delle Entrate fornisca risposte tramite una circolare, con un comunicato stampa Assosoftware,l'Associazione nazionale produttori di software gestionale e fiscale ha reso noto di aver fornito chiarimenti in merito a casistiche particolari. Una di queste riguarda appunto la fatturazione degli omaggi.

Le cessioni gratuite di beni e servizi a titolo di omaggi rientrano nelle fattispecie per cui è facoltativa la rivalsa dell'IVA, infatti al posto di fare fattura verso il "beneficiato" cioè colui che ha ricevuto l'omaggio, è possibile autofatturare l'operazione. 

Come chiarito da Assosoftware, nel caso di assenza di rivalsa dell’imposta, anziché emettere secondo le regole generali una normale fattura, il cedente può optare per l'emissione di una autofattura, in un unico esemplare per ciascuna cessione, nella quale dovrà essere esposto che si tratta di “autofattura per omaggi”. Questo documento dovrà essere numerato secondo il progressivo delle fatture di vendita ed essere annotato nel registro delle fatture emesse e dovrà contenere l'indicazione del valore normale dei beni, dell'aliquota applicabile e della relativa imposta e nella fattura elettronica che sarà trasmessa al sistema di interscambio deve essere indicato il codice TD01.

 

 

Di seguito una tabella di riepilogo:

AUTOFATTURA PER OMAGGI
Data Normale data di emissione
Numero documento Ordine progressivo delle fatture di vendita
Aliquota IVA Regole generali
Indicazioni Autofattura per cessione gratuita di beni (omaggi)
Dati anagrafici cedente Cedente
Dati anagrafici cessionario Cedente
Codice destinatario Cedente
Tipo di documento TD01

 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 01/02/2019

Fonte: Assosoftware

 

 

 

 

 

 

Tra gli esclusi dal reddito di cittadinanza, separati in casa e under 26 che vivono soli?

Tra le norme anti divano studiate dal M5S ci sono anche alcuni paletti al nucleo familiare per poter ottenere il reddito di cittadinanza. Nei giorni scorsi ha fatto scandalo l’inchiesta nel Caf di Palermo ma i controlli sui presunti trucchetti per il rdc saranno attivati in tutta Italia. Norme rigide per evitare divorzi e cambi di residenza fittizi al solo scopo di ottenere il reddito di cittadinanza. E anche chi dovesse ottenere il sussidio con questi escamotage non potrà dormire sonni tranquilli perché il Governo assicura che le verifiche riguarderanno sia i requisiti che il mantenimento del diritto.

 

 

 

 

Separati in casa: controlli sui finti divorzi per il reddito di cittadinanza

L’art. 2, comma 5, del decreto in esame stabilisce che “i coniugi permangono nel medesimo nucleo anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione”. Viene introdotto quindi un controllo più rigido rispetto a quanto previsto dalla normativa ISEE (decreto del presidente del Consiglio dei Ministri n. 159/2013), secondo cui invece i coniugi separati o divorziati che hanno diversa residenza anagrafica costituiscono nuclei familiari distinti. Ai fini del diritto al reddito di cittadinanza non basta più che l’ex marito (o moglie) abbia trasferito la propria residenza altrove: è necessario che viva in una casa diversa da quella dell’altro coniuge perché possa costituire un nucleo familiare indipendente.

 

Figli under 26 anni fiscalmente a carico non hanno diritto al reddito di cittadinanza

L’art. 2 del decreto, sempre allo stesso comma 5, stabilisce che “il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini IRPEF, non è coniugato e non ha figli”. Anche da questa prospettiva quindi le regole sono più rigide rispetto alla normativa ISEE: ne consegue che i figli under 26 e in possesso degli altri requisiti, pur abitando da soli, non fanno nucleo familiare a sé e quindi non possono inoltrare domanda per il reddito di cittadinanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

pubblicato il 

Fonte:   InvestireOggi

              Quotidiano economico finanziario