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Circolari

 

Reati tributari: la società può ottenere il risarcimento dal suo amministratore

La Cassazione stabilisce che l’amministratore risponde dei danni per dichiarazione fraudolenta nei confronti della società che è parte civile nel processo penale

 

 

L’amministratore che ha agito in nome e per conto di una società, risponde dei danni cagionati a quest’ultima, come conseguenza dei reati tributari commessi dallo stesso.

Anche se la persona offesa dai reati tributari (cioè il titolare dell’interesse protetto) è l’Agenzia delle Entratela società, che sia stata a sua volta danneggiata dalle condotte poste in essere dall'amministratore, può costituirsi parte civile nel processo penale e ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con il principio di diritto espresso nella recente Sentenza n. 3458 del 18.11.2019 (consultabile nel file allegato).

Nella vicenda in esame, il presidente del cda di una Spa, viene condannato in primo grado e in appello al risarcimento dei danni nei confronti della società, per aver commesso i reati tributari di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (cfr. artt. 2 e 8, D.Lgs. 74/2000).

La Corte di Cassazione, ha poi confermato la condanna dell’imputato rigettando il ricorso avanzato dallo stesso nella parte in cui lamentava l’illegittimità della società a costituirsi in giudizio come parte civile.

Per meglio comprendere la vicenda, si ricorda che i reati tributari commessi dall’amministratore tutelano la trasparenza fiscale e la corretta percezione dei tributi.

Conseguentemente l’imputato ha sostenuto che nessun danno poteva ravvisarsi in capo alla società a seguito delle proprie condotte e che solo l’Agenzia delle Entrate potesse agire in giudizio nei suoi confronti.

Tale ricostruzione è stata ritenuta errata da parte dei giudici di merito e anche dalla Suprema Corte che, al contrario hanno ritenuto che l’Agenzia delle Entrate:

  • è la persona offesa dai reati tributari commessi, in quanto titolare dell’interesse protetto;
  • è titolare effettivo del rapporto dedotto in causa, che attiene al merito della lite;

nonostante ciò, la società è titolare del potere di promuovere un giudizio con riferimento al rapporto sostanziale dedotto in causa e sulla base dei fatti idonei a fondare il diritto azionato.

Ciò significa che, anche altri soggetti, a prescindere dall’Agenzia delle Entrate possono aver subito danni come conseguenza dei reati commessi dall’amministratore.

In particolare la società è vittima di:

  • un danno patrimoniale dovuto al pagamento delle sanzioni e degli interessi per la commissione delle condotte illecite da parte del proprio legale rappresentante;
  • un potenziale danno all’immagine a seguito delle azioni commesse in nome e per conto della stessa che ne compromettono l'affidabilità e la reputazione.

L’amministratore è colpevole e risponde (anche a titolo extracontrattuale) per:

  • non aver rispettato i propri obblighi stabiliti nel contratto di mandato;
  • non aver agito con la diligenza del buon padre di famiglia:
  • non aver chiesto il consenso degli azionisti prima di agire.

Le conseguenze dannose delle sue condotte sono quindi ricadute sul patrimonio della società che ha subito un illecito ed è quindi pienamente legittimata ad agire in giudizio (come parte civile) per ottenere il risarcimento.

 

 

 

 
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Pubblicato il 30/01/2020

Fonte: Fisco e Tasse

 

Versamenti del professionista sul c/c equiparati a ricavi: a dirlo la Cassazione

Versamenti del lavoratore autonomo sul proprio conto corrente o su quello dei familiari: necessario provare che sono estranei all'attività professionale.

 

 

Con riferimento agli accertamenti effettuati dall’Agenzia delle Entrate, sui movimenti del conto corrente bancario intestato al professionista (o ai suoi familiari), i versamenti da quest’ultimo effettuati si presumono come ricavi conseguiti nell’attività libero professionale. A ribadire questo concetto la Corte di Cassazione che con ordinanza n. 32427 dell' 11 dicembre 2019 ha evidenziato che, per superare tale presunzione, spetta al contribuente fornire la prova del fatto che i versamenti siano estranei alla propria attività.

In particolare la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello che aveva escluso che le somme  rinvenute (versamenti) su conto corrente riferibile al contribuente (in quanto intestato alla moglie dello stesso ma con sua delega ad operare), riguardassero ricavi conseguiti dal medesimo nell’esercizio della propria attività.

Secondo il giudice di legittimità infatti, il ricorso per Cassazione effettuato dell’Agenzia delle Entrate, nell’ambito di una controversia in cui questa aveva emesso un avviso di accertamento di un maggior reddito di lavoro autonomo a carico di un avvocato, doveva essere accolto.

L’ordinanza in esame e di seguito allegata, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, con riferimento ai versamenti effettuati sul conto corrente di un professionista, vi è una presunzione legale tale per cui quest’ultimo deve provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, ai sensi dell’art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte sui redditi (cfr. da ultimo Cass., Ord. n. 22931 del 26.09.18). 

Allo stesso modo, l’art. 51, comma 2, n.2, D.P.R. n.633 del 1972, con riferimento all’ iva, consente di riferire a redditi imponibili conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli accrediti come ricavi.

Particolare attenzione viene posta sulla prova che il contribuente deve fornire che

  1. deve essere analitica
  2. deve indicare in maniera specifica a cosa si riferisce ogni versamento bancario, in modo tale da escludere che riguardino fatti imponibili.

 

 

 

 

 

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Pubblicato il 14/01/2020

Fonte: Fisco e Tasse

 

 

 

Compensazioni 2020:obbligo F24 con i servizi telematici delle Entrate

Decreto fiscale 2020: previsto l'obbligo di presentazione del modello F24 attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle Entrate. Primi chiarimenti.

 

 

Sono numerose le novità sulle compensazioni introdotte dal collegato fiscale 2020 (si veda l'articolo Compensazioni 2020: impossibile compensare dal 1° gennaio) così l'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Risoluzione 110 del 31 dicembre 2019 allegata a questo articolo con i primi chiarimenti sul tema.

In particolare il comma 2 dell'articolo 3 del DL 124/2019 amplia il novero delle compensazioni di crediti d’imposta che devono essere effettuate presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate. Più precisamente, deve essere obbligatoriamente adottata tale modalità di presentazione del modello F24 anche per l’utilizzo in compensazione dei crediti maturati in qualità di sostituti d’imposta e per le compensazioni effettuate dai soggetti non titolari di partita IVA.

La disposizione eliminando il riferimento ai titolari di partita IVA contenuto precedentemente estende alla generalità dei contribuenti l’obbligo di utilizzare i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate per la presentazione dei modelli F24 contenenti compensazioni di crediti d’imposta.
Inoltre, visto il riferimento ai “crediti maturati in qualità di sostituto d'imposta”, aggiunto espressamente al citato articolo 37, comma 49-bis, del DL 223 del 2006, l’obbligo di utilizzare i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate sussiste anche per la presentazione dei modelli F24 che espongono la compensazione dei crediti tipici dei sostituti d’imposta, finalizzati, ad esempio,

  • al recupero delle eccedenze di versamento delle ritenute,
  • del “bonus 80 euro”
  • dei rimborsi da assistenza fiscale erogati ai dipendenti e pensionati.

Al riguardo, si rammenta che, per effetto di quanto previsto dall’articolo 15 del  decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, il recupero da parte dei sostituti d’imposta delle eccedenze di versamento delle ritenute e delle somme rimborsate ai dipendenti e pensionati deve necessariamente essere esposto in compensazione nel modello F24, non essendo più possibile scomputare direttamente tali crediti dai successivi pagamenti delle ritenute In sintesi, tutti i contribuenti e sostituti d’imposta sono ora tenuti a presentare il modello F24 attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, qualora esponga la compensazione dei crediti identificati dai codici riportati nella tabella allegata alla presente risoluzione, appartenenti alle seguenti categorie: imposte sostitutive; imposte sui redditi e addizionali; IRAP; IVA; agevolazioni e crediti indicati nel quadro RU della dichiarazione dei redditi e sostituti d’imposta.

Al riguardo, si evidenzia che il modello F24 può essere presentato attraverso i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate:

  • direttamente dal contribuente o dal sostituto d’imposta, utilizzando i servizi “F24 web” o “F24 online;
  • avvalendosi di un intermediario abilitato, di cui all’articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.

Si segnala che l'obbligo di utilizzare i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate non sussiste qualora l’esposizione del credito nel modello F24 rappresenti una mera modalità alternativa allo scomputo diretto del credito medesimo dal debito d’imposta pagato nello stesso modello F24 .

Si ricorda che, a prescindere dalla tipologia di compensazione effettuata, resta fermo l’obbligo di presentare il modello F24 “a saldo zero” esclusivamente attraverso i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate.

 

 

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Pubblicato il 09/01/2020

Fonte: Fisco e Tasse